“Erano violenti e tutti sapevano!” Questa affermazione non dà pace a chi si interroga sulla questione educativa. Proprio nella domenica in cui tutti i cattolici del mondo hanno letto i brani della Sacra Scrittura sulla correzione fraterna e l’esigenza a riscattare i malvagi, la morte di Willy mette il dito sulla ferita della nostra società odierna. Intendiamo parlare della scelta di non scegliere che a volte sfocia nell’indifferenza e nell’omertà. Stando alle stesse parole della liturgia, non possiamo tacere avanti al male latente sotto le mentite spoglie del rispetto della libertà e del rispetto della privacy, senza dichiarare automaticamente la nostra condanna e il nostro fallimento.
Contrariamente a questo stato di resa, una stella ha illuminato come all’improvviso una notte di settembre mostrando il buio nel quale la società sta barcollando. Questa stella si chiama Willy Duarte Monteiro e brillò mentre si spegnevano le luci di quella piazza di Colleferro.
Un ragazzo qualsiasi, cresciuto in parrocchia, nelle fila di Azione cattolica; come tanti altri sognava e lavorava affinché i suoi sogni diventassero realtà. Lavorava come aiutante cuoco e praticava il calcio per indossare un giorno la maglia della Magica. Tutto procedeva normalmente fino a quando in una notte, non gli viene chiesto altro: scendere in campo, quel campo della vita non per un trofeo qualsiasi, ma per un trofeo di gloria. Si è sentito chiamato in causa per essere una luce che brilla di più, osiamo dire, riceve la grazia di essere testimone/martire della fraternità e della giustizia. Ci vuole pensare come ha sempre detto: “Ci penso io” così soleva dire secondo le testimonianze dei suoi educatori in parrocchia.
Non gli è sembrato né giusto né sufficiente farsi i fatti suoi per campare cento anni, sa che una vita che vale la pena di essere vissuta è una vita donata. Certamente Willy non immaginava che andasse a finire così. Lo immaginiamo con il cuore che batte forte nel petto di un corpo così gracile, con la tenacia di un amore che aveva imparato a coltivare nel tempo, il ricordo non tematizzabile di quella beatitudine di coloro che lottano per la giustizia, artigiani della pace.
Da qui nasce una domanda e forse uno sprono per chi si adopera nel campo dell’educazione. Dove vanno a finire i ragazzi che ci passano tra le mani, in parrocchia e nelle associazioni? Willy è la vera risposta: vanno nel mondo come sale della terra e luce del mondo. Sono lievito nella massa, sono testimoni quasi anonimi perché non portano divise particolari. Mentre in tanti condanniamo gli aggressori, è imperativo ed urgente riproporre quella via tanto antica e tanto nuova, la via dell’incontro tra i fratelli che propone l’incontro con la persona di Gesù!
“Erano violenti e tutti sapevano”. Chi è dietro questo “tutti” che sapevano? Sono io e sei tu. Siamo noi che pensiamo che la vita, soprattutto quella dei giovani è affidata ad altri e non a noi. Siamo noi che guardiamo altrove quando si complica la situazione. La morte di Willy apre dentro il tessuto sociale, al mondo cristiano come a quello laico, tante domande circa l’educazione, la sicurezza, il rispetto dell’altro, la sensibilizzazione alla pace. In molti ci si chiede cosa non ha funzionato quella notte, quando la banda dei bulli furono chiamati ad intervenire come picchiatori preparati, in quella specie di giustizia fai da te. Che cosa porta dei giovani a scegliere la via della violenza contro un altro giovane, ignaro del motivo della stessa violenza così cieca?
Siamo stati testimoni recentemente di quanto i giovani si sono resi protagonisti di gesti eroici durante il blocco causato dalla pandemia. Si tratta davvero dell’albero che cade che fa rumore più della foresta che cresce? C’è da preoccuparsi per i molti giovani senza prospettive di futuro che non sanno scegliere la via della luce? Quale è la responsabilità della società e della stessa Chiesa? Il caso di Willy rimarrà uno di quegli episodi che scuotono le coscienze per qualche giorno e poi ci si dimentica tutto?
Crediamo che ci voglia un patto sociale per una ricerca continua di vie nuove che mettano al centro la questione educativa. Le realtà sociali educative vanno certamente sostenute soprattutto degli amministratori locali e nazionali, affinché non si crei quel vuoto, bacino dove si sviluppa la noia e la violenza. Riteniamo in fin dei conti che gli stessi aguzzini siano delle vittime di una società che offre poco e lascia spazio al male che si insinua nel cuore delle persone più fragili.
Crediamo che il sangue di Willy, la sofferenza della sua famiglia e di noi tutti debbano essere uno sprone per avere più attenzione verso la fragilità dei nostri ragazzi. Non può essere una soluzione il maledire le tenebre senza accendere una piccola luce. Il fatto che Willy abbia osato alzare il dito per difendere un amico significa che non è tutto perduto. Significa che abbiamo alcuni ragazzi buoni, con una coscienza formata anche se non frequentano più i luoghi convenzionali della formazione. Davanti all’offerta della propria vita di questo giovane, non si tardi a riprendere la formazione delle coscienze affinché tutti possiamo tentare di arrestare il dilagare del male e del dolore che viene con esso. Willy sia segno e simbolo di quei figli “belli” che l’Ac, la Chiesa e la società tutta sono fiere di aver accompagnato per un tratto della loro vita e che lasciano dietro a sé una scia luminosa nella notte dei violenti.
Don Cyriaque Niyongabo,
assistente diocesano di Azione Cattolica
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